Vespa, storia di un mito. E del relativo marketing

Intervista ad Azzurra Della Penna, autrice assieme a Valerio Boni del libro che ripercorre la leggenda a due ruote made in Italy. E di cui Germania, Francia e Stati Uniti hanno già chiesto una ristampa

di Giovanni Santaniello

Questa è la storia di un mito. Di un mito italiano chiamato Vespa. Di una storia che non conosce confini. E che è stata raccontata da un libro edito da Mondadori che, a quattro mesi dall’uscita, è già richiesto per i mercati francese, tedesco e statunitense.

vespa bn

“Avanti con le traduzioni, è un grande successo”, racconta Azzurra Della Penna, giornalista di ‘Chi’ e autrice del volume (‘Vespa’, per l’appunto) assieme a Valerio Boni. “La Vespa è più di un marchio di successo. Ormai, è un vero e proprio mito e raccontare la sua storia è stata un’idea che ha riscosso il favore di tanta gente”.

E quindi: in sella. Il libro racconta tutte le sfaccettature del successo più clamoroso mai registrato da un due ruote. “In realtà, si tratta di un prodotto che da sempre ha rappresentato molto più che un mezzo di trasporto. Lavorando nell’archivio storico di Pontedera, laddove c’è la fabbrica della Piaggio che l’ha messa sul mercato nonché in quello dello stesso Museo della Vespa della cittadina toscana, ce ne siamo accorti carte alla mano”.

Da oltre mezzo secolo la Vespa è entrata nella vita di tutti. Spessissimo, segnando i momenti più belli di ognuno di noi.

“E’ proprio così. Chi non ha avuto una Vespa o, quantomeno, non ha un bel ricordo legato alla Vespa? Si può dire che sia entrata nel nostro dna. Tant’è che, a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila, un giornalista del Guardian chiamato a fare un reportage dall’Italia, volle attraversare l’intero Paese in Vespa. Capì, evidentemente, che costituiva un modo per venire in contatto più rapidamente con la gente di cui doveva scrivere. E che avrebbe costituito il primo argomento di conversazione. La Vespa è un mito che è entrato nel nostro bagaglio culturale”.

Nel libro, si racconta anche la storia della sua promozione. Che non è meno interessante del prodotto stesso.

“Proprio così. Scrivendo il libro, sono venuti a galla vari aneddoti. A cominciare dalle foto emerse a Cinecittà che testimoniano come la Vespa, all’epoca della Hollywood sul Tevere, della Dolce Vita di Fellini, di Vacanze Romane con Gregory Peck e Audrey Hepburn (naturalmente in Vespa), negli anni Cinquanta e Sessanta, fosse diventato il mezzo di trasporto ‘naturale’, per così dire, all’interno di Cinecittà. Ecco: vedere la foto di Charlton Heston nei panni di Ben Hur spostarsi da un set all’altro in Vespa fa un certo effetto. Direi che è uno scatto che racchiude un’epoca. E, magari, ne anticipava un’altra: quella che viviamo oggi, quando i migliori marchi sborsano fior di quattrini per vestire un’attrice sul tappeto rosso di Cannes, ad esempio. Si chiama product placement, è una branca del marketing di oggi. Ma all’epoca, tutti, indistintamente, andavano naturalmente in Vespa. Da Anna Magnani a Marcello Mastroianni”.

La Vespa racconta l’Italia più bella, quella degli anni fiduciosi del Dopoguerra, quella del boom economico ma anche dei cambiamenti sociali del nostro Paese.

“Sicuramente. Un pubblicitario francese si inventò questo slogan: ‘Chi Vespa mangia le mele’. La diceva lunga sui nuovi costumi. Tant’è che, per promuovere la Vespa, si pensò anche al primo calendario. E indovinate chi ne fu una testimonial d’eccellenza? Una giovanissima Raffaella Carrà, allora appena 16enne, immortalata coi capelli ricci: una rarità per non dire un unicum prima del caschetto che l’ha resa famosa agli occhi del grande pubblico”.

La Vespa va bene per tutte le stagioni.

“C’è un altro slogan che racconta tanto della Vespa e delle epoche che ha attraversato. Quello di una sua campagna andata in onda negli Usa in cui era illustrato un garage con un’auto e una Vespa accanto con tanto di scritta ‘La tua seconda auto potrebbe non essere un’auto’. La Vespa era pensata per tutta la famiglia. E ha funzionato così negli anni 50 in Italia come ora in India. E’ un simbolo che racconterà sempre l’italianità nel mondo. La nostra intelligenza, il nostro istinto e, perché no, la nostra fortuna”.