ADORO! E io invece proprio  no…

di Maurizio Badiani

Mio figlio Riccardo Hao (22 anni) ha partecipato – con un buon successo – all’Eredità, la trasmissione su Rai 1 condotta da Flavio Insinna.

Perché vi rendo partecipi di una notizia così privata e irrilevante? 

Semplicemente perché, se è vero che è privata, del tutto irrilevante non lo è. 

E vi spiego perché. Un figlio è il risultato dell’educazione che ha avuto e dell’impegno che ha messo negli studi. Tra questi metto anche le letture che ha fatto magari sottraendo tempo a party e discoteche. Da parte mia ho cercato di insegnargli – sin da piccolo – un buon italiano, cercando di arricchire il suo lessico man mano che cresceva. 

Ho scelto per lui, nei limiti delle mie possibilità economiche, le scuole migliori. 

Insomma ho fatto di tutto per insegnargli a parlare un italiano il più possibile ricco e, soprattutto, corretto. Poi…

Poi accendo la TV e in uno spot di cosmesi la modella di turno si gira verso macchina e spara davanti a milioni di occhi e di orecchi un entusiastico “Adoro!”. 

Adori cosa, graziosa testolina? Adorare è un verbo correntemente transitivo e dovresti dire “LO adoro” se, come penso, stai riferendoti al prodotto reclamizzato. 

Quell'”Adoro” piazzato così, a mezz’aria, senza uno straccio di complemento oggetto è qualcosa che mi fa venire l’orticaria.

Lo so, la colpa non è della spigliata fanciulla. Ma del copy che le ha messo in bocca quell’espressione. 

E del cliente che gliel’ha approvata. 

E anche – aggiungo – dei tanti, troppi “personaggi” di nessuno spessore che in tv, ospiti di questo o quel salotto, con sempre maggior frequenza, se ne escono fuori con il loro “ADORO!”, magari detto con la bocca a cuoricino e sottolineando il concetto con un’affettata mossettina della mano. 

Quando ho cominciato a lavorare in pubblicità il mio primo art director mi prese in disparte e mi disse, serio serio: 

“Maurizio, noi pubblicitari abbiamo una grossa responsabilità nei confronti del pubblico a cui ci rivolgiamo. 

Dobbiamo essere corretti, sia in quello che diciamo che nel modo in cui lo diciamo. Perché, con il nostro lavoro, influenziamo un sacco di gente”. 

Da allora ho sempre cercato di attenermi a quel principio.

Sia quando, con uno spot, mi sono rivolto a milioni di persone. 

Sia quando, in privato, mi sono rivolto a mio figlio. 

Il quale, oltre ad essere un ragazzo rispettoso ed educato, parla tra l’altro un buon italiano.

E anche per questo lo adoro. 

Naturalmente con il regolare “lo” di ordinanza.