Intorno a una mostra. Bosch: un surrealista in bilico tra passato e futuro 

di Maurizio Badiani

Bosch è un pittore a cavallo di due secoli: potete considerarlo a piacimento l’ultimo dei grandi quattrocentisti fiamminghi o il primo dei grandi del ‘500, sempre inteso tra i pittori di quelle parti. Dicendo ciò non intendo affatto sminuirne l’importanza: Bosch è pittore universale e grandissimo. Solo che la sua anima è decisamente, radicalmente “fiamminga” (anche se il pittore era nato in quella terra di confine che fu il Brabante). Per questo mi suona strano il titolo della mostra attualmente in corso al Palazzo Reale di Milano “Bosch e un altro rinascimento”. Il Rinascimento è stato un fenomeno tipicamente italiano. Quel guardare con ammirazione al mondo classico di un lontano passato con l’intento di emularlo nasce a Firenze agli inizi del 400 e si irradia nella nostra penisola fino al pieno ‘500.

Erwin Panofsky nel suo “Rinascimento e rinascenze nell’arte occidentale” si era permesso di individuare, qua e là nella storia, alcuni momenti che sembrano anticipare quel periodo felice e irripetibile (l’arte Carolingia, per esempio, o l’arte toscana del dugento tra Nicola Pisano e Giotto). Ma non si era mai spinto a crearne o vederne un “clone”, specie fuori d’Italia e soprattutto fuori tempo massimo. 

Forse i curatori della mostra si sono lasciati sedurre da certe facili “similitudini” tra le invenzioni del nostro pittore e le “grottesche” della Domus aurea o le “mirabilia” delle Kunstkammern. Ma sia le une che le altre sono entrate a far parte (e a buon diritto) dell’armamentario di quel fenomeno – studiato e ristudiato – che si chiama Manierismo e che proprio della stravaganza e della bizzarria fece uno dei suoi punti di forza. Quindi: perché inventarsi un “altro” Rinascimento che non c’è?(*) Resto col mio dubbio e passo a Bosch. Di lui non conosciamo molto: incerta è la data di nascita (forse il 1453) probabile quella di morte: il 1516. Si sa che proveniva da una famiglia di pittori e che tenne una bottega nella piazza principale della città da cui “prese il nome”. Già perché il nostro, di cognome, faceva Van Aken. E Van Aken si erano chiamati sia suo padre che suo nonno. Forse anche per distinguersi da loro (e magari per dare una sforbiciata al suo nome chilometrico (Hieronymus Jeroen Anthoniszoon van Aken) l’artista decise di usare un “toponimo” e assunse quale “nome d’arte” quello di Bosch, “desinenza” di Hertogenbosch la città che gli dette i natali e dove visse a lungo. E visto che “bosch” nella dura lingua del Brabante vuol dire “bosco”, come Bosco o El Bosco il nostro pittore divenne famoso nelle terre di Spagna tra le prime ad accogliere con entusiasmo la sua pittura. 

Un antico disegno e alcune incisioni che ritraggono il pittore ci mostrano un ometto rinsecchito con il capo affogato in un cappellaccio a larghe falde: più che un artista (si fa fatica a pensarlo contemporaneo di pittori sempre in ghingheri come Raffaello e Tiziano) Geronimo Bosch ci sembra piuttosto un modesto falegname di provincia, un Geppetto nato 400 anni prima che lo partorisse Collodi. 

Ma dietro quell’aria dimessa, sotto quel cappello sgualcito si celava uno dei cervelli più originali, fini e bizzarri che l’arte abbia mai conosciuto.Dalla sua mente e dal suo pennello prese forma un mondo stralunato, terribile e risibile ad un tempo, dove si danno appuntamento, come per un carnevale o una festa macabra, uomini tagliati a metà’, eleganti prelati con la faccia da porco, maiali vestiti da suora, uccelli pattinatori che sfoggiano con sussiego un imbuto rovesciato sulla testa…Personaggi tanto irreali e stravaganti che paiono appena tornati da un sabba dove si è dato fondo ad ogni specie di fungo allucinogeno. Nel tentativo di spiegarsi (e spiegarci) le ragioni di una pittura così inusuale si sono avvicendati nel tempo storici, linguisti, teologi, sociologi, psicologi e psichiatri. Con risultati spesso bizzarri: Bosch eretico, gnostico, cataro, rosa-croce, adamita, rivoluzionario e – ovviamente – tossicomane. 

Naturalmente tutte le ipotesi sono plausibili anche se nessuna è “vera”. 

L’arte di Bosch, proprio perché è autentica ricerca e non mera decorazione, conserva – come in uno scrigno chiuso a chiave – la preziosa ambiguità del mistero. Prima ancora di affascinare Dalì e i Surrealisti, che lo elessero a loro padre putativo, Bosch sedusse i suoi “contemporanei” come dimostrano le decine di epigoni anche grandi (Brueghel il Vecchio fu tra questi) che provarono a seguire i suoi “modi” e le sue orme. La mostra in corso (aperta fino al 12 Marzo) costituisce una straordinaria occasione per allenare mente e occhi insieme. Perché al di là delle fantasmagoriche bizzarrie che la popolano, l’arte del nostro è frutto di un pennello colto e raffinato. 

Perciò divertitevi pure a decriptare il lato enigmatico dei suoi personaggi ma non tralasciate di assaporare la squisita sottigliezza di tocco della sua pennellata. 

Diceva il grande Zeri: mentre un quadro italiano si guarda prima dall’esterno e poi si passa ai particolari, un quadro fiammingo (e Bosch rientra a pieno titolo nella “categoria”) va visto partendo da un dettaglio per muovere poi indietro verso l’insieme della composizione.

Vi consiglio perciò di andare alla mostra nei momenti di minor affollamento e di avvicinarvi alle opere quanto più potrete. 

E se il solito, zelante ragazzotto vi inviterà con fare ruvido ad allontanarvi dal quadro, prendetelo in disparte e ditegli in un orecchio “Di fare così me lo ha detto Zeri”. 

(*) Vengono in soccorso al mio dubbio molti scrittori e studiosi d’oltralpe, specie anglosassoni, che hanno definito Bosch come l’ultimo, grande “medieval painter”. Quel suo attingere dai bestiari medievali, i cui mostri istoriavano manoscritti e capitelli, la sua moralistica, sarcastica riflessione sulle debolezze dell’Uomo e le vanitas del mondo, autorizzano tali autori a riportare indietro le lancette della pittura del nostro pittore. Non uomo – quindi – di un nuovo fantomatico rinascimento ma un artista ancora in bilico tra un passato denso di paure e un futuro pieno di incognite.