di Maurizio Badiani
Le immagini toccanti – apparse tv – della ragazza Ucraina che suona in mezzo alle macerie della sua casa devastata dalle bombe mi hanno fatto tornare alla mente uno dei momenti più strazianti de Il pianista, film di Polanski del 2002.
Molte cose in quel film precorrono – in negativo – la storia di oggi.
Già le origini del regista, di padre russo e di madre polacca, ci fanno riflettere su quanto siano sfumati e labili certi confini.
Il film si basa su una storia vera, quella di Wladyslaw Szpilman, pianista celebre al suo tempo, costretto a sfuggire alle persecuzioni naziste passando, come un topo, da una tana all’altra.
Fino al giorno in cui non viene scoperto da Wilhelm Adalbert Hosenfeld, capitano della Wehrmacht. La scena in cui Wladyslaw, il pianista, suona Chopin davanti al capitano nazista in mezzo alla totale devastazione che circonda entrambi è a mio avviso una delle più commoventi della storia del cinema. La dolcezza delle note scioglie un cuore che evidentemente non era mai stato di ghiaccio: il capitano porterà da mangiare all’esausto Wladyslaw e lo aiuterà a nascondersi meglio. Per coprirlo dai rigori dell’inverno gli regalerà, come un novello San Martino, anche il proprio cappotto. Cappotto nazista, purtroppo, che, con l’arrivo dell’Armata Rossa, costituirà una “prova” sufficiente per far deportare il povero Wladyslaw in Russia. Vi rimarrà detenuto a lungo ma si salverà.
Il nazista Hosenfeld, fatto a sua volta prigioniero, morirà invece in Russia nel 52. Sarà il figlio del “pianista”, molti anni dopo, a far riabilitare il capitano il cui nome figura adesso tra i “Giusti tra le Nazioni”.
Quell’umanità sepolta sotto le macerie della Storia e che riemerge caparbia, oggi come ieri, sulle note di un pianoforte semidistrutto diventa l’emblema della civiltà che vince contro la barbarie. Un raggio di luce che rischiara l’anima in mezzo al buio che la circonda.