di Maurizio Badiani
In occasione di una mostra in corso a Vicenza (La Fabbrica del Rinascimento.Processi creativi, mercato e produzione a Vicenza: Palladio,Veronese,Bassano,Vittoria) un gruppo di storici dell’economia dell’Università di Verona ha cercato di capire “quanto percepivano gli artisti di un tempo” e, per farlo, ha scelto un’unità di misura molto concreta: il maiale. Riferendosi al valore di un maiale di media grandezza (il cosiddetto mezzanotto), gli studiosi hanno così scoperto che Andrea Palladio, uno dei più grandi architetti di tutti i tempi, nella sua veste di “architetto della Basilica”, guadagnava un maiale al mese.
Né più né meno quanto costava all’epoca un buon taglio di lana. E che Jacopo Bassano, il cui “Ritratto di segugi” strappa ogni giorno ohhh di meraviglia a migliaia di frequentatori del Louvre dove si trova appeso, percepì per quel capolavoro l’equivalente di un paio di guanti in pelle.
Lo ammetto: l’idea di tornare a pagare gli artisti moderni in maiali anziché in dollari o bit coin mi affascina terribilmente.
Sarebbe – come dire? – ridare finalmente un valore concreto a cose che da tempo hanno perso qualsiasi concretezza.
Purtroppo i Palladio e i Bassano contemporanei non si accontentano più di un maiale al mese.
Damien Hirst – tanto per fare un nome a caso – ha venduto il suo teschio in stile Swarovski a più di 50 milioni di sterline.
Anche a voler tirare sul prezzo (o sul lesso, giusto per restare in tema) per arrivare a coprire l’intera cifra ci vorrebbero come minimo dai 150 ai 200.000 maiali.
Ancora due o tre vendite di quella fatta e rischieremmo di perdere l’intera razza suina.
Sistema improponibile perciò. Poco ecologico e per niente pratico.
Peccato però perché l’idea mi alluzzava alquanto.
Davanti alle aggiudicazioni ultramiliardarie in dollari o sterline dei moderni Michelangeli dovremo continuare a strabuzzare gli occhi e a ciondolare mestamente la testa.
“That’s the modern art, baby!”
Avrebbe detto aggiustandosi il bavero il cinico Bogart.