Garantire la sicurezza di una sanità sempre più digitale

Luca Maiocchi, Country Manager Italia di Proofpoint, riflette sulle sfide di sicurezza legate alla crescente digitalizzazione della sanità. Il fattore umano si conferma sempre più determinante.

Luca Maiocchi

Come e più di ogni altro settore, nel mondo della sanità la trasformazione digitale si sta rivelando un passaggio fondamentale per incrementare l’efficienza del sistema e migliorare il livello di cura dei pazienti. 

L’elemento di novità più evidente è senza dubbio il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), strumento che si sta progressivamente diffondendo per sostituire la tradizionale cartella clinica cartacea che, mal strutturata, classificata o addirittura illeggibile, ha ormai raggiunto i suoi limiti. Il FSE ha accresciuto in maniera sensibile la sua penetrazione, passando tra il 2019 e il 2021 da 12 milioni a circa 32 milioni. Assieme al FSE, c’è un intero settore che si sta digitalizzando, sulla spinta del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, approvato di recente, che prevede 18,5 miliardi per la definizione di una “nuova” Sanità, che si baserà proprio sul digitale, per modernizzare e innovare il sistema e garantire accesso a servizi ottimizzati ed efficaci.

Che il settore sanitario sia a rischio non è una novità. Volumi di dati preziosi e sensibili, un bisogno spesso imperativo di continuità di servizio, un mix disomogeneo di infrastrutture e sistemi esistenti e strumenti di protezione non adeguati, ha reso questo settore un obiettivo primario per i criminali informatici da anni ormai.

Qualunque sia il vettore di attacco, phishing, compromissione della posta elettronica aziendale,  ransomware o smishing, gli attaccanti puntano ad aggirare le difese delle strutture sanitarie per accedere ai dati personali, chiedere riscatti, disturbare – e nel peggiore dei casi interrompere – l’erogazione di servizi medicali.

La posta elettronica rimane il principale vettore di infezione, quindi è il momento di prestare un’attenzione più specifica a questo canale di comunicazione e condivisione dei dati. Il crescente ricorso a sistemi di posta elettronica cloud-based, come O365 e G-Suite, per motivi principalmente economici o di flessibilità operativa, non fa che peggiorare le cose, elevando ulteriormente le possibilità di compromissione degli account e quindi di possibile sottrazione di dati sensibili.

Il primo imprescindibile step di sicurezza è l’implementazione di strumenti di e-mail filtering per fermare le minacce prima che raggiungano la casella di posta, anche quando questa si trova nel cloud, e la creazione di processi di verifica per limitare le possibilità di successo del furto d’identità e degli attacchi di compromissione degli account tramite strumenti di Cloud Security (CASB) o specifici per la verifica degli account compromessi (come CAD, Cloud Account Compromise).

Ma la tecnologia da sola non basta. I cyberattacchi prendono sempre più di mira le persone. E le aziende ne sono consapevoli, come mostra una recente ricerca Proofpoint: il 54% dei CISO italiani considera l’errore umano è la maggiore vulnerabilità IT della loro organizzazione. L’elemento umano è la linea di difesa da rafforzare. Questo inizia con la formazione sulla consapevolezza della sicurezza, che copre minacce, metodi e motivazioni dei cybercriminali. Oltre alla capacità di individuare link dannosi ed e-mail sospette, gli utenti finali devono essere consapevoli che la cybersecurity è una responsabilità di tutti. 

Affinché la protezione sia efficace, la formazione deve essere continua, approfondita e contestualizzata. Gli esercizi di simulazione di crisi sono anche armi preziose per prepararsi a combattere la minaccia e a impegnare quella resilienza di cui l’industria ha bisogno. Poiché la minaccia è in continua evoluzione e gli aggressori escogitano costantemente nuovi modi per bypassare i sistemi di difesa, anche l’impegno di proteggere i sistemi informativi sanitari deve essere continuo.

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