FQ MillenniuM da domani in edicola il nuovo numero

«Bisogna rendersi conto che da troppo tempo ormai i magistrati liberi, coraggiosi e indipendenti vedono il Csm come un organo dal quale diffidare, fonte di possibili ritorsioni. Bisogna capovolgere questa situazione». È l’accusa di Nino Di Matteo, magistrato della procura nazionale antimafia che del Consiglio superiore della magistratura fa parte, eletto come indipendente nella lista di Piercamillo Davigo, contenuta in una lunga intervista su FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez che nel numero in edicola da domani propone inchieste e approfondimenti sul tema “Non ci sono più i magistrati di una volta?”. 

Sull’onda dello scandalo Palamara, continua Di Matteo, «la magistratura deve smetterla di sorprendersi in modo ipocrita. Deve indignarsi, non fare finta di sorprendersi». Il magistrato che ha indagato sugli intrecci tra Cosa nostra e istituzioni, dalle stragi alla Trattativa, lancia l’allarme: «Ci dobbiamo rendere conto che se il cambiamento non parte da noi, saranno altri a cambiare la magistratura. E io temo che tra questi altri ci siano anche coloro che, nascondendo la loro reale volontà dietro la prospettiva riformista, vogliano limitare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, per subordinarla al potere politico». Una tentazione che Di Matteo attribuisce a «una volontà trasversale ai vari schieramenti politici che vorrebbe sfruttare le difficoltà attuali per regolare i conti con la magistratura».

Nell’intervista, il magistrato ricorda il momento in cui indossò la prima volta la toga, da semplice uditore: era il 24 maggio del 1992. C’era da fare il picchetto d’onore alla bara di Giovanni Falcone. «Di quella notte ricordo il pianto sincero di tanti semplici cittadini. Lontano dai riflettori, a rendere omaggio alle vittime arrivavano persone normali. Passarono dalla camera ardente di Falcone, magari prima di cominciare un’altra giornata di lavoro all’alba». E mentre si avvicina il 29esimo anniversario della strage di Capaci, Di Matteo lancia un altro allarme: «Oggi stanno cominciando a realizzarsi alcuni degli scopi che Cosa Nostra intendeva perseguire nel momento in cui concepì quell’azione di ricatto allo Stato portato avanti con bombe e attentati esplosivi in tutto il Paese». In particolare, «è certo che Riina e gli altri si muovessero tra le altre cose per abolire l’ergastolo, che significa veramente il fine pena mai, cioè il carcere a vita. L’apertura di alcune sentenze della Consulta e della Cedu a una sostanziale abolizione dell’ergastolo ostativo vanno in questa direzione. E ne sono consapevoli pure i detenuti all’ergastolo che hanno compiuto quelle stragi proprio con quest’obiettivo: in questo momento sanno che possono sperare di tornare liberi».

Di Matteo racconta poi di aver pagato con maggiori ostacoli di carriera il suo essere alieno dal sistema delle correnti: «Non parlo solo del mio ruolo giudiziario, ma anche di tutte le occasioni in cui avevo presentato domande per incarichi direttivi e semidirettivi. Poi è chiaro che il magistrato che non appartiene a nessuna corrente o cordata può essere pregiudicato anche nelle legittime aspirazioni di carriera, soprattutto se si espone, indagando o giudicando delle incrostazioni di potere all’interno delle istituzioni. Io credo che proprio questi siano i magistrati da difendere e proteggere da possibili ostracismi istituzionali dovuti al loro lavoro».

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