di Federico Unnia
Le contraddizioni del fanatismo religioso ci sono note. Stupisce quanto riportato dal ilfoglio.it circa la collocazione su Google di siti di gruppi estremisti islamici votati prevalentemente al reclutamento di martiri per attentati di notissimi marchi di aziende e prodotti occidentali. Un abbinamento alquanto discutibile, in quanto espressione tali beni proprio della cultura consumistica che gli estremisti vogliono abbattere.
Fin qui non vi sarebbe molto di nuovo, se non una contraddizione in termini tra promotori e strumenti utilizzati.
Quello che lascia perplessi è chi abbia pilotato questa operazione. Secondo il Foglio, che cita l’indagine condotta dal Times, le imprese coinvolte non avrebbero avuto sentore dell’operazione, e prontamente hanno rimosso ogni messaggio.
Parrebbe, ed è alquanto grave, che siano state alcune agenzie di pubblicità ad orchestrare la cosa, certe e convinte di poter guadagnare dal rilevante numero di click che l’inserimento di tali marchi e pubblicità nei siti estremistici genera. Il fatto in se – oltre a possibili ripercussioni penali stante il divieto di finanziare economicamente gruppi terroristici – solleva interrogativi di ordine etico e deontologico. Ma dov’è il rispetto delle norme deontologiche e della fiducia nel rapporto con i propri clienti?
I consumatori, e l’opinione pubblica, come debbono essere tutelati da comportamenti così scorretti? Insomma, tutto si baratta per un fee maggiore?
Parrebbe di si.