di Federico Unnia
Uno slogan può essere protetto anche se l’idea promozionale che ne è alla base non sia la stessa. Nel caso di specie l’assonanza tra il claim di Stroili “Ogni donna è un gioiello” e quello di Alfieri & St. John “Ogni gioiello è una storia” è foneticamente vaga e semanticamente inesistente: il primo propone una metafora della donna, il secondo una metafora di un oggetto. Il che ne esclude ogni possibile contestazione a stregua dell’art. 13 del Codice.
E’ questo l’esito cui è pervenuto il Giurì di autodisciplina pubblicitaria nella vertenza che ha visto contrapposte Stroili Oro e Gens Aurea, circa la presunta non conformità all’art. 13 Cap (Imitazione, confusione e sfruttamento della creatività altrui) dello spot televisivo relativo ai gioielli a marchio “Alfieri & St. John”.
Il messaggio, nel quale era raffigurata una donna allo specchio nell’atto di agghindarsi sceglie un gioiello a forma di croce che faceva ricadere sull’ampia scollatura sulla schiena, proponeva il cliam “Ogni gioiello è una storia”; secondo l’istante, ricalcava alcuni stilemi che da anni caratterizzano la comunicazione di Stroili. In particolare l’inquadratura del gioiello in corrispondenza della bocca rossa della modella, l’immagine della donna bionda allo specchio, il gioiello sulla schiena nuda della stessa e il claim, ricordavano quelli di una campagna Stroili “Ogni donna è un gioiello”, costituendo elementi distintivi che nel tempo, grazie anche a diverse campagne succedutesi, hanno reso unica la comunicazione di Stroili. Ora, con questa campagna, la convenuta si sarebbe scorrettamente richiamata per sfruttarne la maggiore notorietà presso il pubblico.
La società convenuta si era difesa, sostenendo che Stroili avrebbe rivendicato una tutela ex art. 13 di elementi statici, non innovativi o originali, ampiamente diffusi nella comunicazione di settore, che non costituiscono un’idea creativa. Lo spot contestato non sarebbe interpretabile come semplice insieme di singoli fotogrammi, in quanto vi sarebbe alla base un’idea pubblicitaria e un racconto che non si ritrovano in nessuno degli spot dell’istante. Inoltre tra le due aziende non vi sarebbe quel divario di notorietà tale da poter consentire lo sfruttamento vietato dall’art. 13 del Codice.
Il Giurì, come si ricordava, ha stabilito che i messaggi contestati non fossero in contrasto con il Codice di Autodisciplina. Sul piano delle rappresentazioni visive, il Giurì ha osservato che la protezione dell’art. 13 non si limita all’immagine come tale, ma alla sua referenza: l’atmosfera, le sensazioni che si vogliono suscitare, la “storia” che si intende evocare nel consumatore. Il Giurì ha poi chiarito che la valutazione ai sensi dell’art. 13 prende in esame il messaggio nel suo complesso, non i suoi singoli elementi, al fine di verificare se vi è sovrapposizione tra strategia, obiettivi e mezzi iconici e verbali delle campagne; inoltre la protezione si può invocare solo in relazione a messaggi che abbiano un qualche gradiente di novità e originalità. I messaggi esaminati presentano sì degli elementi comuni, ma non si contraddistinguono per peculiari originalità e creatività, ricorrendo a stilemi comunicazionali ricorrenti e situazioni che appartengono ad un repertorio pubblicitario non nuovo, mutuando immagini che fanno parte dell’iconografia collettiva.