Il Bugiardino – Una consonante non è un carattere

di Pietro Greppi

Sono tanti, ma proprio tanti i professionisti e gli imprenditori che decidono di seguire particolari ricette per curare l’andamento della propria impresa. E sono tanti, ma proprio tanti quelli che usano la stessa identica ricetta per farlo. Imbarazzante quanta omologazione mi e ci circonda. Imbarazzante anche quanto l’omologazione venga cercata e desiderata. Mi riferisco soprattutto a coloro che frequentano religiosamente i convegni di altri professionisti e imprenditori che intendono spiegare agli altri come loro sono riusciti in qualcosa.

Chi li segue lo fa orientato nel credere che quei risultati siano replicabili anche nel suo caso. Su questo non c’è alcun tema di possibile smentita. Il pensiero è quello lì. Ma … se essere curiosi è importante e ugualmente lo è anche il sapersi far attraversare dalle intuizioni che derivano da visioni diverse dalle proprie (perché bene o male qualunque incontro è foriero di stimoli e genera riflessioni piccole o grandi), ci sono situazioni d’impresa in cui “l’effetto placebo” è l’unica risposta possibile. E se proprio insisti trovi sempre qualcuno che te la dà. E a volte, molte volte, funziona. Far credere che una pillola di zucchero risolva un problema, scatena infatti il potere dell’illusione, della suggestione. Tutto resta come prima, ma sembra diverso perché chi ricorre a quella innocua soluzione ci crede.

Lasciando da parte la considerazione sull’utilità o meno dell’operato di un’azienda, ci sono molte persone che pur essendo capaci, intelligenti, preparate e assennate ritengono di non essere in grado di pensare in piena autonomia soluzioni efficaci per sé stessi e per la loro impresa, e si lasciano così affascinare da altre persone di cui sposano a priori (e a posteriori) le indicazioni.

Ci sarebbe da discutere poi sulle capacità di applicarle, ma il tema qui è un altro.

Torniamo all’effetto placebo. Ho in mente un particolare esempio: Philip Kotler. Noto consulente, seguitissimo, richiestissimo e sempre attesissimo in tutto il mondo. È soprattutto un abile venditore dei propri modelli inerenti il marketing, nonostante il pregio che gli si può attribuire sia soprattutto quello di saperli diffondere, essendo stati, questi modelli (quello delle “P” soprattutto), introdotti prima di lui da un altro professore (Jerome McCarthy). Così come pure le successive diverse classificazioni delle “C” che sono accolte, diffuse e spiegate da Kotler nei suoi convegni, ma che furono proposte prima da Robert F. Lauterborn (n.d. wikipedia).

Certo Kotler è bravissimo nel suo mestiere, soprattutto perché riesce a vendere il “suo” modello di pensiero. Ma vende assunti e osservazioni in fondo banali. È come un bravo giocoliere che ha saputo far fruttare le sue migliori frequentazioni. Un esperto illusionista che sa come far apparire una tigre dove prima c’era una colomba. E questa cosa mi porta ad azzardare anche un’altra considerazione che ai miei occhi lo pone, più di altre, ai vertici della classifica degli imbonitori e cioè che il suo pregio non è in fondo neppure quello di presentare dei modelli così bene come fa, bensì il fatto di riuscire ad avere un seguito di persone dalle quali dovrebbe lui apprendere e non viceversa. Persone che bene o male, rispetto a lui, le imprese le creano indipendentemente dal fatto di saper completare una parola che comincia con la P o con la C. Persone che sinceramente non riesco a credere che abbiano bisogno di quel genere di insegnamenti. Potranno non ricordare a memoria le sue slide o quante sono le consonanti da elencare con le rispettive estensioni, ma a che pro se prima non sanno chiedersi come mai certe banalità li affascinano? Come fanno a non rendersi conto che sono proprio i modelli ripetuti il problema vero delle imprese e della società?

Kotler a parte, gli esempi delle imprese che stanno, come si dice, in cima alla lista delle più grandi o di quelle che seppur piccole lasciano segni indelebili (nel bene e nel male), se hanno un segreto questo consiste nel carattere e nella capacità dei loro fondatori di credere nelle proprie visioni, di resistere al dileggio o alla diffidenza, di usare la propria personalità e di non mollare. Nessuno può pensare di innovare, quale che sia l’ambito, copiando e incollando pezzi già disponibili. Ci sarebbe molto da dire anche sul senso e l’opportunità delle cose da fare … ma è tema di un altro bugiardino.

Pietro Greppi

Consulente per la comunicazione etica e fondatore di Scarp de’ tenis

Fondatore di GESTO – Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it