Il Bugiardino – Impariamo a restituire

di Pietro Greppi

Quello che chiamiamo generosità dovrebbe essere considerata una restituzione. Perché se abbiamo molto di più di altri, è dagli altri che lo abbiamo ricevuto o preso. Non è un tema di politica o di economia, ma solo di educazione e civiltà. In un bel Paese, in un Paese sano e popolato da persone integre, intelligenti, positive, consapevoli e libere, la ricchezza di un’azienda, grande o piccola che sia, si dovrebbe per esempio misurare non dal bilancio economico, ma dal valore, dall’utilità e dal significato di ciò che essa fa per la comunità in cui opera, grande o piccola che sia la comunità. Però come agisce un’azienda dipende sempre e solo da quello che pensano le persone che la costituiscono. Ed è proprio il loro pensiero l’area critica in cui si può seriamente misurare lo spessore di quella “creatività” da cui scaturiranno azioni destinate a coinvolgere tante altre persone. Per questo guidare o scegliere una guida è un atto di grande responsabilità, non per altro. Perché se chi guida non ha sentimenti (positivi), le abilità trasmessegli dal sistema, nelle sue mani possono diventare pericolose o dare luogo a cose sterili, inutili, vuote.

Ogni azienda potrebbe scegliere come comunicare la sua presenza anche osservando semplicemente il mondo reale per decidere di riempirne i vuoti, le carenze, le necessità, cercando cioè quello che manca davvero alle persone, quelle reali. Si può fare rivoluzionando ovviamente le abitudini di questo sistema, ignorando i modelli precostituiti, pensando e ascoltando di più gli altri, per capirli di più … perché non serve a nessuno impegnare risorse per creare situazioni di vita artificiale (come gli spot) solo per “infilarci” un prodotto o una marca, nel tentativo di dare l’impressione di essere lì da sempre? Fare così crea e diffonde solo confusione e mette in crisi l’autostima e la percezione di sé negli altri, oltre a sprecare risorse in modo stupido. Serve invece capire la vita reale così com’è e inserirvi azioni utili, soluzioni ai problemi, creare ciò che manca davvero, fossero anche solo momenti di riflessione e comprensione o le opportunità in cui questi si possono sviluppare. Attività insomma che aderiscano alle più semplici e reali esigenze delle persone, che in fondo sono anche facili da individuare. Ma la questione è che capire cosa manca, capire sé stessi e gli altri richiedono impegno e libertà di pensiero … qualità che mancano in generale a loro volta. A partire dalle emergenze, fino alle esigenze particolari meno drammatiche e più o meno diffuse, il nostro Paese potrebbe crescere in armonia con il contributo delle stesse aziende che “ogni giorno” un contributo lo ricevono da chi compra i loro prodotti. Praticare la restituzione insomma dovrebbe essere sistematico. La cultura stessa della restituzione andrebbe insegnata, introdotta, assimilata … e anche, perché no, comunicata. Non per vantarsene, ma per stimolare l’emulazione di quei comportamenti per i quali vale la pena scomodare “l’informazione”. Restituire” dovrebbe diventare una pratica comune prevista e istituzionalizzata come qualunque altra attività d’impresa. Potrebbe addirittura prendere il posto di alcune pratiche che da sempre lasciano il tempo che trovano. Ma quello che ci frega tutti è poi il concetto di ricchezza. Perché ci formiamo immersi in contesti che educano ad essere migliori degli altri e non migliori e basta, con il risultato che esiste la cosiddetta marginalità sociale, che tutto è tranne un esempio di cui andar fieri.  Accade perché il nostro è un sistema freddo che alimenta l’egoismo in tutte le sue forme, inducendo a pensare soprattutto al vantaggio personale … e questo inevitabilmente porta al conflitto.

Ci sono alcuni imprenditori che donano risorse, interventi o prodotti, ma manca ancora la piena consapevolezza del potere dell’esempio e della sua pratica, molto diverso dal dono e ancora troppo nascosto tra le pieghe di una riservatezza che non ha motivo di essere. È proprio l’idea di restituire che va spiegata bene e stimolata, perché per molti coincide ancora con il “donare privandosi, più o meno volentieri, di cose che consideriamo nostre”, quando invece è un’azione che produce addirittura un rendimento, anche se di un tipo molto particolare. Di quelli che non si leggono sui listini di Borsa, ma negli occhi delle persone.

Certo bisogna sapersi guardare intorno, saperlo fare, volerlo fare ed essere stimolati a farlo.

Pietro Greppi

Consulente per la comunicazione etica e fondatore di Scarp de’ tenis

Fondatore di GESTO – Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it

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