Il Bugiardino – Provocation

Pietro Greppi
Pietro Greppi

di Pietro Greppi

Per promuovere l’Italia, quello che rappresenta, che produce … abbiamo davvero bisogno dell’inglese? Già sappiamo poco l’italiano!

Il termine “Made in Italy” per esempio è una contraddizione in termini, un’affermazione che nega sé stessa, senza contare poi tutti i termini inglesi che pian piano si sono insediati nella nostra lingua. Segnali del nostro carattere, di cosa sta accadendo alla nostra lingua e di cosa di conseguenza può ancora accadere.

Ho scelto allora di argomentare questo tema per offrire uno stimolo di riflessione e per sottolineare che, concentrandosi su questioni rilevanti, chi si occupa di comunicazione commerciale potrebbe creare contenuti con obiettivi più elevati di quanto accade di solito. Come quello di migliorare l’uso e la conoscenza della lingua italiana. Anche solo per dare un senso agli sforzi del maestro Manzi che iniziò un percorso di cui stiamo perdendo la memoria.

Tornando quindi all’esempio del made in Italy … mi chiedo perché mai non si sia scelto di dare rilevanza a chi produce in Italia sottolineando le qualità italiane in italiano. Dovrebbe essere una questione di principio e sarebbe un segnale di autorevolezza e di dignità per la nostra lingua e il Paese intero.

Come facciamo ad essere orgogliosi di quello che abbiamo se manteniamo uno spirito di accondiscendenza verso ciò che di fatto ci inaridisce e ci svuota? Chi non è italiano ama l’Italia più di noi ed è affascinato dalla nostra lingua, dal nostro stile e dal nostro gusto che fra un po’, se andiamo avanti così, non troverà più perché a noi piace farci colonizzare da qualunque cosa suoni in inglese. Lingua che facciamo entrare alla grande nelle produzioni delle pubblicità che dovrebbero voler comunicare all’italiano medio e che invece paiono più orientate a far parlare di sé a Cannes dove, sempre che questo abbia un senso, non vincono mai. C’è chi si stupisce di questo, ma a me sembra ovvio che chi ha perso la propria identità “nazionale” non possa pretendere di ricevere addirittura un premio.

Propongo quindi qualche riflessione laterale e un piccolo approfondimento di storia che potrebbe tornar utile ad aziende e creativi.

Personalmente ritengo che la lingua italiana, quando viene rispettata, produca essa stessa un particolare modo di pensare e quindi anche di produrre, diventando a tutti gli effetti l’ingrediente differenziante di ciò che viene ideato e realizzato in Italia. A pensarci bene assumono una grande importanza anche i nostri dialetti che, per conseguenza logica, credo incidano nelle varianti di gusto (artistico, estetico, alimentare, etc.) che contraddistinguono la nostra cultura.

Per questo affermo che la lingua italiana non è solo una lingua, ma anche tutto ciò che essa produce. E l’idea che l’Italia e gli italiani sono anche la loro lingua dovrebbe stimolare il lavoro dei comunicatori e dei creativi. Genialità ed eccellenza italiane si manifestano infatti nella capacità di trasformare le idee e la materia seguendo percorsi certamente guidati anche dalla lingua ed è questo insieme che andrebbe trattato come un patrimonio da promuovere e salvaguardare.

Per ora stiamo invece assistendo al costante depauperamento della nostra lingua nel nostro stesso Paese, abdicando sempre più spesso all’inglese, lingua che il mondo della comunicazione pare subisca volentieri e supinamente senza riflettere abbastanza su ciò che questo comporta. Non si tratta di discutere se imparare un’altra lingua, ma del fatto che una lingua non deve annullarne un’altra. Perché annullare una lingua (e qui parlo della nostra) porta con sé l’annullamento anche delle identità e delle diversità che il nostro Paese deve invece difendere e promuovere perché sono la nostra ricchezza. Qualcuno lo dice, ma lo fa in inglese … La lingua italiana infatti -da ormai 70 anni- è oggetto di una pesante e purtroppo efficace e silenziosa aggressione anglofona di tipo colonialista. Una valanga originatasi in un preciso momento storico e con una precisa dichiarazione che vale la pena riportare: “… dominare la lingua di un popolo offre guadagni di gran lunga superiori che non il togliergli province e territori o schiacciarlo con lo sfruttamento … ”  da The Worldwide Linguistic Kingdom, W. Churchill – Università di Harvard, 6 settembre 1943.

Una frase però poco conosciuta che andrebbe diffusa e riletta di frequente per ricordare a cosa dobbiamo la situazione attuale della nostra lingua e di tutto ciò che ne deriva. Una frase che tempo fa mi ha segnalato Giorgio Kadmo Pagano che qui ringrazio. Quelle poche parole, chiare e drammaticamente lucide, anticipano e “spiegano tutto” dell’invasione culturale e dell’asservimento inglese delle menti, accettati in seguito dall’Italia con eccessivo slancio come portatrici di benefici di tipo commerciale. Il marketing di un Paese su di un altro. Il risultato è il nostro progressivo impoverimento generale sia sul piano culturale, sia su quello della competizione commerciale. L’inglese è diventato un cavallo di Troia per allargare l’influenza del mondo americano (anche) nel nostro Paese.

Ma l’Italia e la sua lingua, nel suo territorio, non deve abdicare ad un’altra lingua solo per convenzione commerciale, né per cortesia istituzionale, perché il sempre minore benessere italiano e l’assenza di sviluppo sempre più marcati vanno di pari passo con il progressivo abbandono della cultura e della lingua italiana. Non può essere un caso e capirlo offre l’opportunità di costruire nuovi percorsi, anche creativi, promuovendo l’interazione fra lingue e culture, la varietà culturale del pianeta, il dialogo tra le nazioni. Perché quindi le forze creative e produttive del nostro Paese non agiscono in controtendenza pensando alla nostra lingua come ad un prodotto da valorizzare ed esportare?

Pietro Greppi

Consulente per la comunicazione etica e fondatore di Scarp de’ tenis

Fondatore di GESTO – Laboratorio per la realizzazione del Linguaggio universale non verbale

Per entrare in contatto con l’autore: info@ad-just.it