di Francesco Cataldo Verrina
Sono remoti i tempi in cui la pubblicità e quella sottile arte che ne sostiene propositi e finalità, ossia il marketing nell’accezione più larga del termine, venivano considerati come una sorta di tentativo di “persuasione occulta” e di rito pagano perpetrato ai danni del povero consumatore ignaro dei pericoli e degli inganni che potevano celarsi dietro quel mirabolante e sgargiante mondo di promesse contenute in ogni “reclame” o qualsivoglia messaggio o comunicato teso a spingere l’ipotetico cliente all’acquisto di questo o quel prodotto o bene di consumo).
Oggi il consumatore, considerato cliente-acquirente o cliente-utente, rappresenta il vero punto di forza del moderno advertising e delle più recenti strategie di marketing: egli è in grado di confrontare, valutare, scegliere con competenza e spirito critico. Prendendo a prestito le parole del sociologo francese, Gérard Lagneau, difficilmente possiamo parlare di “baratto muto” o di “comunicazione mistica”.
L’uomo nella civiltà dei consumi, sovente esasperati, è perfettamente conscio che la pubblicità e il marketing facciano parte di un sistema le cui dinamiche sono tutt’altro che occulte.
Il normale codice di mediazione utilizzato dalla comunicazione pubblicitaria, non solo si presenta sempre più visibile ed immediato, ma facilmente decifrabile dall’ipotetico consumatore, il quale ne riconosce lo stile, ne percepisce le finalità, ne sa prevenire gli effetti.
Nella civiltà dei consumi affluenti e superflui, sia pure intaccati dalla crisi globale, il consumatore non è più l’ultimo anello debole della catena, un semplice utilizzatore di prodotti e servizi, amorfo e passivamente ricettivo, ma può fregiarsi del titolo di “consumAttore”.
E’ come se egli avesse sviluppato una sorta di sistema immunitario capace di aumentarne le difese e addirittura di sferrare degli attacchi mirati contro questo incessante flusso di informazioni lusinghiere, leggiadre ed invitanti all’acquisto, al consumo, all’aggiornamento, al regalo, al cambiamento, al miglioramento dell’immagine, alla ricerca del benessere, all’elisir di un’eterna giovinezza.
La “casalinga di Voghera” (in tema di luoghi comuni) sa benissimo che le sue tagliatelle sono più buone di quelle saltate in padella e che non avrà mai il fascino di quell’avvenente attrice che, per merito di una crema, dimostra quaranta, anziché cinquant’anni, eppure non si astiene dal comprare certi prodotti.
Parte integrante (spesso con funzione migliorativa) di programmi TV, trasmissioni radiofoniche, abbellimento grafico ed estetico per alcuni austeri prodotti stampati, foriera di piccole e grandi finestre animate che si aprono nelle pagine web, la pubblicità viene considerata come una sorta di amica informata, un’abile suggeritrice nel caotico scenario dei consumi con cui confrontarsi.
Sono rari i momenti in cui essa è percepita come un ingombro o un fastidio, in questo caso si parla di targets appartati che non costituisco neppure il 20% dell’universo di riferimento e che fanno capo a categorie e gruppi marginali con scarsa incidenza sul mercato.
Il paesaggio economico è stato modificato in maniera sostanziale dalla tecnologia e dalla globalizzazione. Di questi tempi, le aziende di tutto il mondo possono competere ovunque, grazie a Internet e alla maggiore libertà degli scambi commerciali.
La principale forza economica è la “ipercompetizione”: le imprese sono in grado di produrre più beni di quanti ne possano vendere; come risultato si hanno forti pressioni sui prezzi e una tendenza sempre più pronunciata alla differenziazione. Tuttavia, in massima parte, questa palese differenziazione è psicologica più che reale.
Anche così il vantaggio competitivo di un’azienda non permane a lungo in un’economia dove qualsiasi vantaggio può essere copiato rapidamente o subire un rapido processo di osolescenza.
Le imprese devono prestare attenzione al fatto che i clienti sono sempre più istruiti e dispongono di strumenti migliori, come Internet, per scegliere tra una gamma più ampia di alternative. Il potere, che dal produttore era passato al distributore, ora è passato al cliente. Il cliente è sovrano. Il cliente-consumatore si muove all’interno del flusso pubblicitario con disinvoltura, ostentando un quadro di percezione sensoriale maturo e accresciuto. Da tempo, non si parla più di consumatore, ma di “prosumer”, ossia di “producer” e “consumer” al contempo.
La percezione si è oggi allargata, è cresciuta: a parte l’olfatto, il tatto ed il gusto, i quali vengono applicati in fase di consumo e di fruizione del prodotto, in prima istanza, l’utente vuole vedere, sentire e oggi più che mai “cliccare”.
Il senso e il desiderio di “interazione”, di necessità di emanare un “feed-back”, quale verdetto immediato per il gradimento o non-gradimento, il poter essere parte attiva del processo di comunicazione-fruizione, ha favorito la nascita di un “sesto senso”, di un comune senso della percezione, mediato da una qualsivoglia interfaccia digitale, ma comandato dall’utente, inteso come colui che usa e sa usare molto bene il mezzo di cui dispone.
L’atto del cliccare, inteso come interattività diventa il nuovo propulsore delle dinamiche pubblicitarie e delle tecniche di marketing. Le aziende vincenti trasformano in vincenti anche i propri clienti.
Le aziende più avvedute creano costantemente nuovo valore per i clienti e sono profondamente orientate al cliente e alla soddisfazione delle sue esigenze. Molte, oggi, lo fanno attraverso la Rete e i Social Media.
Il comportamento dell’acquirente non è più schiacciato da machiavelliche logiche aziendali. Il fruitore non è più “compresso”, ma compreso e modellato, e molti aspetti, sovente affetti da eccessiva scientificità, quali caratteristiche e posizionamento del prodotto, prezzo, pubblicità, promozione delle vendite, servizi e sistemi di distribuzione vengono plasmati, ottimizzati ed alleggeriti grazie a questo meccanismo di interazione o senso del “cliccare”.
E per il futuro? Se non sarà il “sesto senso” a toglierci le castagne dal fuoco, confidiamo almeno nel buon senso.