VIZI PUBBLICITARI: VODAFONE, ricetta perfetta? Non condanna perfetta

di Federico Unnia

Lo spot “Passa a Vodafone e avrai la ricetta perfetta”, relativo all’offerta “Smart 100 ricaricabile”, diffuso sulle reti Mediaset e Rai nelle scorse settimane è quella che in pubblicità potremmo definire la condanna perfetta. E sì perché il solerte Comitato di controllo ha messo subito sotto osservazione il messaggio, trovandolo alla fine ingannevole e bloccandone la diffusione perché in contrasto con l’art. 2 del Cap.

L’intera comunicazione insisteva con particolare enfasi sulla promessa di un’offerta “tutto incluso” e il claim “Chiamate, messaggi e Internet insieme a soli 9 euro al mese per un anno” lasciava intendere che, aderendo alla promozione pubblicizzata, il consumatore potesse usufruire mensilmente e per un anno al prezzo indicato dei servizi di telefonia, sms e navigazione in Internet. Ma tra il dire televisivo e la realtà la differenza esiste e non era di poco conto. Infatti, ha appurato il Comitato di controllo, l’offerta prevedeva delle significative limitazioni e condizioni tali da ridimensionare notevolmente l’appeal della promessa principale, finendo per trasformare il messaggio in una violazione evidente dell’art. 2 Cap.

Anzitutto, le limitazioni relative alla “quantità” di chiamate, sms e traffico Internet inclusi nel prezzo vantato (100 minuti, 100 sms e 250 MB di traffico Internet) erano specificate, come consuetudine, nei super che comparivano a caratteri minimi in fondo allo schermo e che nel complesso non riuscivano a bilanciare la decodifica decettiva che il messaggio favorisce. L’importanza per il pubblico dei destinatari delle informazioni contenute in tale super non trovava così riscontro in un’adeguata rilevanza comunicazionale attribuita alle medesime.

In secondo luogo, i minuti di chiamate e gli sms compresi prevedevano un ulteriore costo (1 cent/minuto per le chiamate e 1 cent per ciascun messaggio) che non rientrava nei 9 euro pubblicizzati, smentendo pertanto categoricamente l’essenza stessa dell’offerta “all inclusive”. Infine, nessun elemento vebniva fornito al consumatore in merito ai costi previsti allo scadere della tariffa promozionale del primo anno.

Secondo il Comitato di Controllo, il messaggio induceva in errore il pubblico in ordine alle caratteristiche e alle condizioni dell’offerta pubblicizzata. La comunicazione prospettava in termini allettanti e perentori un’offerta che non trovava corrispondenza nelle effettive caratteristiche e nelle condizioni effettivamente praticate agli utenti, configurando una pubblicità contraria ai princìpi di chiarezza e correttezza imposti dalle norme autodisciplinari, nonché in contrasto con il principio di autosufficienza informativa del messaggio, volto ad evitare il cosiddetto “primo aggancio” del consumatore, oggetto di consolidata giurisprudenza del Giurì.

Insomma, all inclusive, condanna compresa. Viene da chiedersi: ma vale ancora la pena credere a certa pubblicità?