Perché le avversità si possono sconfiggere se si combatte con la forza delle proprie idee
(estratto del quarto capitolo di “Mad in Italy, quindici consigli per fare business in Italia. Nonostante l’Italia.”, Giampiero Cito e Antonio Paolo, Rizzoli-Etas, 2012)
Alle ore 13.00 del 4 novembre 2011, il giorno in cui il torrente Bisagno se ne infischiò dei suoi argini allagando Genova, noi, i due autori di questo libro, ci trovavamo proprio là, al secondo piano di un palazzo nel quartiere Foce. Stavamo raccogliendo le informazioni necessarie per lavorare sul nome e sull’immagine di una nuova azienda che sarebbe nata di lì a poco, quando qualcuno, non ricorderemo mai chi, irruppe nella sala riunioni urlandoci di scappare. Nessuno di noi due ha subito conseguenze fisiche o danni e quando la radio comunicò che proprio vicino a dove eravamo c’erano state sei vittime, tra cui alcuni bambini, pur essendo già sulla strada del ritorno verso casa ci sentimmo tristemente dei sopravvissuti.
Oltre a raccontarvi la nostra esperienza, che a dire il vero è anche poco interessante, ci interessa l’episodio, perché quel giorno abbiamo provato il vivido sentimento della paura. E proprio la paura sarà la protagonista di questo capitolo. Più avanti vi racconteremo come siamo riusciti a lasciare piazza della Vittoria, che dopo pochi minuti era allagata dall’acqua del Bisagno.
Ve lo racconteremo perché quella fuga dall’acqua ha, secondo noi, qualcosa di metaforico che ci riporta alla mente la condizione di tante imprese e di tantissimi imprenditori che, soprattutto in periodi di estrema difficoltà, rischiano di venire travolti da quell’ondata che porta con sé crisi, problemi economici e depressione. L’Italia, lo sappiamo, è la nazione delle calamità naturali, dei terremoti, delle alluvioni, delle frane; ma anche di tante altre calamità che più che con la natura hanno a che fare con i limiti e le deviazioni umane: criminalità, omertà e negligenza di chi, per terrore, sceglie di adeguarsi a un sistema di cui Paolo Borsellino (insieme a Giovanni Falcone e molti altri eroi moderni) è stato vittima, ma che ha cercato di combattere e sovvertire convinto che “chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. La paura va collocata tra i meccanismi di difesa dell’individuo. Rappresenta uno stimolo per attivare reazioni che servono a difendere il soggetto dai pericoli dell’ambiente. Se un bambino non avesse paura del buio o del fuoco, potrebbe sbattere contro qualcosa oppure bruciarsi. Analogamente una zebra che non avesse paura di un leone non avvertirebbe il bisogno di scappare divenendo ancora più facilmente preda.
Vi è dunque una paura esistenziale che va mantenuta e non certo ostacolata. Occorre distinguerla, tuttavia, da una paura clinica, che acquista una dimensione negativa e che, invece di proteggere, ci rende immobili e succubi nei confronti dello stato delle cose. A questo tipo di paura e di intimidazione si ribellò Libero Grassi che descriveva la propria azienda con queste parole: “La Sigma è un’azienda sana, a conduzione familiare. Da anni produciamo biancheria da uomo: pigiami, boxer, slip e vestaglie di target medio-alto che esportiamo in tutta Europa. Abbiamo 100 addetti: 90 donne e 10 uomini. Il nostro giro d’affari è pari a 7 miliardi annui. Evidentemente è stato proprio l’ottimo stato di salute dell’impresa ad attirare la loro attenzione”. I “loro” citati da Grassi non erano un’entità ignota, erano quei mafiosi che furono mandanti ed esecutori della sua uccisione, avvenuta il 29 agosto 1991, e scaturita in seguito alla famosa lettera che l’imprenditore siciliano scrisse e fece pubblicare. “Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia.”
Il piccolo imprenditore onesto in Italia è un eroe. Lo Stato lo premia con le tasse più alte d’Europa, da incassare in anticipo. Per i rimborsi, invece, c’è sempre tempo. Ed è quasi impossibile riscuotere le fatture non pagate. In uno scenario come questo, chi decide di restare e investire in Italia deve per forza di cose essere un folle. Almeno così sembra. Ma sono questi imprenditori inconsapevolmente coraggiosi a rendere grande il nostro paese, e a essere dei motori per rilanciare uno spirito imprenditoriale che ha consentito nel corso della storia di vincere la paura e l’immobilismo, dando vita a marchi e progetti di impresa in cui pochi avrebbero creduto. Alessandro Manzoni sosteneva che “il coraggio uno non se lo può dare”, ma chi il coraggio lo possiede per indole, se sostenuto e incentivato da uno Stato più lungimirante, potrebbe aiutare l’Italia a risolvere molti dei propri atavici problemi.
Il 25 maggio 1964, Ernesto Olivero a Torino dette vita a quella che fino a quel giorno era stata soltanto un’intuizione folle: mettere insieme l’impegno di giovani decisi a sconfiggere la fame con opere di giustizia, a promuovere sviluppo, a vivere la solidarietà verso i più poveri. Nacque quindi il Sermig (Servizio Missionario Giovani). Il 2 agosto 1983 Olivero ottenne in gestione, dopo anni di richieste rivolte al Comune di Torino, una parte delle strutture del vecchio Arsenale militare, situato in Borgo Dora, uno dei quartieri malfamati della città, che fu restaurato per ospitare l’Arsenale della Pace, struttura che attualmente si estende per circa 40.000 metri quadri. Da allora l’Arsenale, definito “un monastero di laici”, ha dato assistenza a immigrati, tossicodipendenti, alcolizzati, malati di Aids e senza tetto nell’ordine di centinaia di migliaia di persone.
Abbiamo chiesto a Ernesto Olivero di raccontarci qual è stato il meccanismo che ha messo in moto la sua apparentemente folle scelta di intraprendere un percorso di vita così impegnativo: “La scintilla di follia – ci ha risposto Olivero – è stata per me pensare che la fame nel mondo si possa abbattere e decidere di cominciare a farlo in prima persona, insieme ai miei amici. Più avanti negli anni, ho scoperto che qualcuno di molto più famoso di me, non ricordo bene se Einstein o un altro personaggio del suo calibro, aveva detto: ‘Avete un problema? Mettetelo in mano a un ingenuo’. Da allora, con il Sermig abbiamo realizzato più di 2.900 progetti di sviluppo, inviato materiali a popolazioni in difficoltà in quantità equivalente a 730 aerei da carico, aiutato persone di 139 paesi del mondo. Non è da pazzi pensare che il mondo si possa cambiare. È da pazzi farselo andar bene così com’è!”
A volte la paura si combatte proprio attraverso l’utopia; percorrendo strade che sembravano impossibili. Quella mattina del 4 novembre 2011, ci trovavamo a Genova e siamo scappati dall’alluvione imboccando una strada controsenso, in salita, solamente perché lì non c’era l’acqua che cresceva alle nostre spalle allagando tutto e perché non c’erano auto che ci venivano incontro. Citando il titolo dell’antologia postuma di Fabrizio De André, che Genova la conosceva molto meglio di noi, abbiamo vinto la paura procedendo “in direzione ostinata e contraria”. Abbiamo percorso quella via di fuga con l’ostinazione di chi vuole in tutti i modi salvare la pelle e con l’impellenza della ricerca dell’unica strada possibile per raggiungere la salvezza. Perseverare, cambiare direzione, allontanarsi dalla tentazione di seguire la strada che le prassi consolidate suggerirebbero di intraprendere significa trovare la salvezza.
Se vogliamo, è possibile traslare questa metafora rendendola applicabile anche all’imprenditore che si trova di fronte alla necessità di non farsi sconfiggere dalle avversità (siano esse di tipo atmosferico, naturale, economico o come conseguenza delle azioni della criminalità organizzata). Alle difficoltà e alla paura di non riuscire a superarle non si deve soccombere, si deve, al contrario, trovare la forza e il coraggio di combattere, appoggiandosi alla bontà di quelle idee che, nonostante tutto, a noi italiani continuano a non mancare.
MEMO
La paura non deve frenare l’idea di un imprenditore. Prendendo esempio da chi lotta ogni giorno contro ostacoli che sembrano insormontabili, si può riuscire a farcela; con ostinazione, coraggio e cercando di circondarsi di alleati e partner che non ci facciano sentire mai soli.