Istinto e impressioni- Il lacche’

di Maurizio Rompani

Giorgio Bocca è scomparso lo scorso anno, il giorno di Natale, a gennaio è uscito il suo ultimo libro “Grazie, no!” . Non si tratta, come sarebbe lecito aspettarsi, di uno sguardo alla vita trascorsa, di un testamento morale, è invece un guardare dritto davanti a sé, un concreto invito a cambiare per essere migliori. Una sollecitazione a non assuefarsi all’Italia di oggi, dove cose che dovrebbero indignare passano sotto silenzio, discorsi che non si dovrebbero sopportare sono ormai moneta corrente, idee perlomeno discutibili sono invece comunemente accettate. Bocca elenca i sette punti a cui dire, appunto, no grazie: la crescita folle; la produttività; la lingua impura; il dominio della finanza; la corruzione generale; la fine del giornalismo; l’Italia senza speranza.
Certo, in questi anni ci siamo abituati alla negatività e alla furbizia imperante, ma forse è veramente giunto il momento di non arrenderci e di alzare la voce, anche per allontanare soluzioni più traumatiche, per denunciare le scorciatoie del pensiero unico a cui si deve rispondere con un sonoro e liberatorio: Grazie, no! . Certo, ormai è quasi un’abitudine anche l’indignazione, anche il cinico e soddisfatto luogo comune secondo cui l’Italia è ormai perduta, situazione sottolineata soprattutto da chi di tale contesto ne è stato artefice e che vede nel proseguimento della caduta occasione per trarne vantaggio personale.
Una velata accusa che si fa a libri come questo, di forte denuncia, è la mancanza di visioni alternative, di una soluzione: non basta dire no a un’idea che non garba, occorre anche fornire una valida possibilità. Eppure già il dire No è una alternativa, una soluzione. Da queste letture deve nascere sopra ogni cosa lo stimolo a individuare le cose che non si possono più accettare, a farsi garanti e spinta ad un cambiamento all’insegna dei valori e del domani, qualunque siano le nostre idee politiche e religiose.
Situazioni a cui dire no, molte volte tralasciando anche il grazie, ce ne sono tante nella società di oggi. Personalmente, come tutti, vivo immerso in tante situazioni sconfortanti, ma in questo momento in cui tutti facciamo fatica eppure continuiamo a combattere per avere un domani, ve ne è una che mi irrita e mi fa dire No, adesso basta!
No a tutte quelle persone che con il loro servilismo becero fanno ancora più danno di coloro che decidono, che hanno il potere. Lacchè è un termine che bene li definisce, sottolineando un aspetto di cortigianeria bigotta. Il fatto che anche la Cassazione, secondo una motivazione del 2007, lo considera un epiteto offensivo, perché si “fuoriesce del tutto dai canoni della continenza espressiva” ne è conferma. Di queste persone siamo quotidianamente circondati nella vita professionale, ostacolandoci perché non accettano situazioni in cui loro non siano indispensabili, nella vita di tutti i giorni, creandoci ostacoli inutili. Li vediamo, e purtroppo li ascoltiamo, in televisione mentre, dopo il loro intervento, scodinzolano soddisfatti aspettando il biscottino.
Una cosa li accomuna: l’arroganza.
Il lacchè è una persona culturalmente di basso livello, non tanto scolastico quanto di apertura mentale, che occupa una mansione molte volte importante e decisionale. Sa di essere inferiore e proprio per questo esercita il suo ruolo, qualunque esso sia, con presunzione e insolenza, non accetta il confronto, da cui emergerebbe la sua insipienza, insulta, sovrappone le sue parole alle vostre, si formalizza su cavilli seicenteschi. Semplicemente è un maleducato. Nel suo intercalare fa sfoggio di una cultura da quiz e mai smentisce l’appellativo Dottore , anche se quasi mai ne ha diritto, con cui l’interlocutore fa precedere il suo nome, anzi il più delle volte se ne compiace, naturalmente il fatto che ormai l’uso esagerato e fuori luogo dei titoli accademici sia ridicolo non lo tocca. Si crede importante nel suo ruolo, ma è solo servo del padrone e proprio per questo difende le posizioni acquisite e i privilegi di pochi, ha paura del nuovo perché sa che lo travolgerebbe o, ancora peggio, lo smaschererebbe. Rappresenta il vecchio, indipendentemente dall’età anagrafica.
No a questa gente, se vogliamo cominciare a ricostruire con orgoglio il nostro paese, No a chi, in realtà, di questa situazione si alimenta come un parassita. La persona onesta, chi ha in se la convinzione che con la lealtà, la correttezza, la pulizia si potrà tornare a vivere con fierezza la vita, non può più accettare di barattare con l’ipocrisia e la stupidità il proprio quotidiano, di convivere con il falso. L’orgoglio della propria onestà anche nel piccolo quotidiano è fondamentale, il disprezzare, l’allontanare dal nostro futuro chi fino ad oggi ne è stato freno, lo è altrettanto. Il termine ex ilio è il più pertinente, essere esiliati, espulsi dalla società di cui si credono punti fondamentali, pur continuando a viverla. “Sono qui, sono qui” , “non ti vedo, non ci sei”, uno scherzo stupido da fare ad un bambino, una angoscia quotidiana giusta per queste persone.

 

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